CISINT - Centro Italiano di Strategia e Intelligence

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Camera dei deputati

La Camera dei deputati nel 2016 ha regolato formalmente la presenza nelle proprie sedi di rappresentanti di interessi con finalità di pubblicità e trasparenza (regolamento). La disciplina attuativa è contenuta nella deliberazione dell'Ufficio di Presidenza dell'8 febbraio 2017 (deliberazione) che istituisce un Registro dei soggetti che svolgono professionalmente attività di rappresentanza di interessi nei confronti dei deputati presso le sedi della Camera. Il registro ha la finalità di rendere pubblica e trasparente l'attività delle organizzazioni che svolgono la rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera.

Rappresentante d’interessi

Libera Università di Bolzano

Coordinatore accademico

Titoli di studio: dottore magistrale 

Master 1 livello in pensiero computazionale e coding 

Corsi alta formazione: coding, tablet, Lim 

Corso alta formazione in Educazione Finanziaria 

Corsi business: export manager, soft skills, IA applicazioni, cybersicurezza 

Esperienze settore informatico: sa utilizzare Linux, Microsoft, Apple ed Oracle. Excel a livello “business” e come sviluppo di fogli per business, economia e trading. Esperienza professionale simulazioni economiche “trading” con software specifico. Esperienza con linguaggi Python, Unix, C, C++, assembly.



Il Paese di Enrico Mattei non può vivere di turismo. E i dati lo dimostrano.

C’è una frase che in Italia viene ripetuta come un mantra: “Il turismo è il nostro petrolio”. È suggestiva, ma falsa. Un mito comodo, utile a giustificare decenni di deindustrializzazione e politiche miopi. I dati Eurostat 2023, elaborati da Istituto Liberale, mostrano in modo inequivocabile che il turismo genera appena 27.800 euro di valore aggiunto per addetto, contro gli oltre 385.000 dell’energia, i 167.800 della farmaceutica, i 121.000 della chimica e i 113.500 dell’automotive.

Un addetto nel turismo, in media, produce 14 volte meno di uno nell’energia e 6 volte meno di uno nella manifattura chimico-farmaceutica. Ciò significa salari più bassi, precarietà e scarsa capacità di investimento in innovazione.

Il peso reale del turismo nell’economia italiana

Secondo i dati ISTAT e Banca d’Italia (2023), il turismo incide per circa 6,3% del PIL e impiega 13% della forza lavoro. Ma questa occupazione è per lo più stagionale, con contratti a termine e un’elevata incidenza di part-time involontario. La produttività oraria media nel settore è inferiore del 40% rispetto alla media nazionale e di oltre il 60% rispetto alla manifattura avanzata.

L’Italia è tra le prime destinazioni al mondo per flussi turistici, ma tra le ultime in Europa per spesa media per turista: circa 650 euro pro capite, contro 940 della Spagna e 1.200 della Francia. Il turismo italiano è quindi quantitativo ma poco remunerativo, concentrato su margini bassi e lavoro a basso costo.


Il cuore produttivo dell’Italia

Ora guardiamo i settori “pesanti”, quelli di cui Mattei parlava come ossatura strategica del Paese:
	•	Manifattura nel suo complesso: 16,6% del PIL, con una produttività per addetto doppia rispetto ai servizi.
	•	Export manifatturiero: oltre 620 miliardi di euro nel 2023, in crescita nonostante l’inflazione energetica.
	•	Settori ad alto valore aggiunto: energia, farmaceutica, chimica, meccanica, aerospazio e ICT — insieme rappresentano meno del 25% degli occupati, ma oltre il 55% del valore aggiunto totale.

Sono questi i comparti che sostengono la bilancia commerciale e finanziano il welfare, non le spiagge.

L’idea che “il turismo basti” nasce da una retorica culturale: l’Italia come museo a cielo aperto, che deve limitarsi a “valorizzare il patrimonio”. Ma un museo non innova. E senza innovazione, un Paese invecchia.

Mattei, Olivetti, e persino Fermi avevano capito che l’indipendenza di un Paese passa da energia, ricerca e industria. Il turismo vive dopo l’industria, non al posto dell’industria. Senza energia, infrastrutture, siderurgia e tecnologia, non c’è turismo che tenga.

Il Paese di Enrico Mattei può vivere solo se torna a produrre — energia, tecnologia, innovazione.
Chi crede di poterlo sostituire con i B&B e i centri storici restaurati dimentica che senza acciaio, energia e cervelli, anche il “Paese più bello del mondo” si spegne.

OpenIndustria analisys

Marco Pugliese

Titoli di studio: dottore magistrale 

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Docente di matematica, giornalista e analista economico

Manuel Manzoni

Cosa c’è davvero dietro l’accordo di Trump: gas, geopolitica e la nuova corsa all’energia del Mediterraneo

Tra le coste di Israele e la Striscia di Gaza si gioca una partita che va ben oltre la diplomazia: riguarda il controllo di una delle risorse più strategiche del XXI secolo, il gas. L’accordo proposto nell’ambito del nuovo piano di Donald Trump, presentato a settembre 2025, non è solo un documento politico: è una chiave energetica che ridefinisce il Mediterraneo orientale.

Il progetto si fonda sullo sfruttamento del giacimento Gaza Marine, scoperto nel 2000 e mai avviato per motivi di sicurezza. Contiene circa 40 miliardi di metri cubi di gas, per un valore industriale stimato in oltre 7 miliardi di dollari. Secondo le ipotesi operative, la produzione raggiungerebbe i 2,5 miliardi di metri cubi l’anno, coprendo il 60% del fabbisogno energetico palestinese e generando ricavi superiori ai 250 milioni di dollari annui, con 80 milioni destinati direttamente all’Autorità Palestinese sotto forma di royalties e imposte.

L’investimento iniziale, pari a 1,5 miliardi di dollari, sarebbe sostenuto da un consorzio a guida israeliana ed egiziana, con il supporto di compagnie energetiche occidentali come Chevron ed Energean. Il gas estratto verrebbe inviato tramite pipeline al terminal di El Arish, in Egitto, dove verrebbe liquefatto e destinato ai mercati europei, rafforzando il ruolo del Paese come hub energetico del Mediterraneo orientale.

Ma dietro i numeri si muove la strategia. L’accordo di Trump lega lo sviluppo energetico alla stabilità politica, introducendo una clausola inedita: la sospensione automatica della produzione in caso di violazione del cessate il fuoco. È un tentativo di trasformare il gas in un vincolo economico alla pace, creando un intreccio di interessi che renda costoso tornare al conflitto.

In questo scenario, l’Italia e Eni potrebbero avere un ruolo cruciale. Con oltre 70 miliardi di metri cubi di riserve certificate tra Egitto, Cipro e Libano, Eni è già uno dei protagonisti dell’energia nel Mediterraneo. Un eventuale ingresso nel progetto — anche solo con una quota del 10-15% — significherebbe un investimento di 300 milioni di dollari e un ulteriore consolidamento della strategia del Piano Mattei per il Mediterraneo, che mira a un partenariato energetico stabile tra Europa e Africa.

L’accordo, dunque, non riguarda solo Israele e Palestina: tocca l’intero equilibrio energetico del continente. Se andrà in porto, il gas del Mediterraneo orientale potrebbe diventare la nuova leva della politica europea, riducendo la dipendenza dal gas russo e creando un corridoio Sud-Nord con l’Italia al centro.

Dietro le parole del “piano di pace”, c’è una grande operazione di realpolitik energetica. Il Mediterraneo torna a essere il crocevia del potere: un mare che non separa, ma connette interessi, economie e destini geopolitici.

In arrivo un mio articolo per LO_SPECIALE

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